Il guaranà, scientificamente Paullinia cupana, è una pianta che
cresce tipicamente nelle regioni dell’Amazzonia.
Il nome deriva dalla tribù
indios dei Guarani, i quali
nutrivano un vero e proprio culto per tale vegetale, al punto di considerarlo
sacro.
La mitologia che ammantava il guaranà era anche e soprattutto alimentata
da una serie di caratteristiche terapeutiche che lo rendevano utile nel
trattamento di determinati stati fisiopatologici. Pertanto in tempi moderni si
è cercato di capire quale fosse il limite tra superstizione e proprietà
scientificamente accertate.
Le parti della pianta che vengono utilizzate in
erboristeria sono i semi che si ritrovano all’interno dei caratteristici frutti
rossi.
Tali semi contengono la guaranina,
principio attivo fondamentale. Qui cominciano le dispute tra i sostenitori a
spada tratta del guaranà e coloro che lo derubricano a surrogato del caffè.
Infatti il guaranà è ricco di caffeina, tanto da considerare quest’ultima come il vero e proprio componente attivo a cui fare riferimento nel valutare le qualità medicamentose di tale pianta. Sulla stessa guaranina non vi è accordo, poiché chimicamente non presenta differenze rispetto alla caffeina; in pratica caffeina e guaranina sono due nomi distinti che si riferiscono alla stesa molecola.
A
confondere le acque vi sono anche teorie che vedono nella guaranina non una
singola molecola, ma un insieme di principi attivi molto simili alla caffeina,
i quali sarebbero il segno distintivo del guaranà.
Tuttavia questa spiegazione
anche ad un occhio inesperto risulta difficilmente proponibile.
Per dirimere la
questione ci viene in soccorso la cronologia delle scoperte scientifiche
relative alle molecole in esame.
Difatti la guaranina è stata isolata e
scoperta nel 1826, mentre solo successivamente con le moderne tecniche di
analisi è stato possibile arrivare a definire la struttura chimica della
caffeina.
A quel punto fu evidente che si trattava della stessa molecola
contenuta in due piante diverse, guaranà e caffè per l’appunto.
Poi l’utilizzo
sostanzialmente ubiquitario della bevanda del caffè ha dato una tale notorietà
alla caffeina da soppiantare di fatto la guaranina.
Le
presunte differenze per i corifei del guaranà stanno nel fatto che l’effetto tonico-stimolante attribuito
all’estratto di questa pianta sarebbe più prolungato rispetto alla caffeina.
In
questo c’è del vero, ma ciò è dovuto al fatto che i semi di guaranà sono ricchi di lipidi che rallentano
l’assorbimento dei principi attivi.
Quindi questa caratteristica non è
legata ad una presunta (ed inesistente) differenza chimica e biologica delle
molecole di guaranina e caffeina, ma semplicemente ad un contesto biochimico in
cui l’estratto di guaranà si viene a trovare e che ne rallenta l’assorbimento
da parte dell’organismo umano.
Che poi si tenda a pubblicizzare maggiormente i
prodotti a base di guaranina rispetto a quelli a base di caffeina, stando la
totale eguaglianza dei principi attivi, il motivo va ricercato nella strategia
di marketing di proporre come innovativo un prodotto surrettiziamente a base di
caffeina, invece di uno manifestamente a base della stessa molecola.
Pertanto,
senza tema di smentita, possiamo attribuire al contenuto in caffeina le
proprietà del guaranà.
Quindi queste ultime sono proprio diretta conseguenza
del meccanismo d’azione della caffeina, la quale inibisce l’enzima fosfodiesterasi.
Tale enzima degrada l’AMPc (adenosina monofosfato ciclica), molecola denominata “secondo messaggero”.
Questo nome deriva
dal fatto che l’AMPc attiva dei percorsi intracellulari in seguito
all’interazione della cellula stessa con molecole segnale (ormoni,
neurotrasmettitori, ecc.); siccome le molecole segnale nella maggior parte dei
casi non sono in grado di entrare nella cellula ed esplicitare direttamente la
loro azione, si avvalgono dell’intervento dei secondi messaggeri appunto, che
non sono altro che dei “delegati” per il trasferimento delle informazioni alle
specifiche strutture cellulari.
La caffeina, inibendo la degradazione
dell’AMPc, ne promuove l’aumento della
concentrazione che si traduce in uno stato
diffuso di attivazione. Da ciò derivano i seguenti effetti fisiologici
della caffeina:
La
stimolazione avviene principalmente a livello del sistema nervoso centrale, dove dà luogo ad un aumento della soglia dell’attenzione ed una ottimizzazione dello stato
di veglia.
Ciò è molto utile nei casi di affaticamento psicofisico, stress,
sintomi depressivi e stati di
convalescenza.
L’aumento delle resistenze di tipo psicologico si riflette
in un miglioramento del quadro fisiologico, con un metabolismo più efficace nel
rispondere agli stimoli potenzialmente dannosi.
La
perdita di peso deriva principalmente dalla capacità della caffeina di inibire i recettori dell’adenosina.
Infatti l’adenosina è una molecola che a sua volta, attivando il proprio
recettore, inibisce il rilascio di due neurotrasmettitori come la noradrenalina e l’adrenalina.
Questi ultimi sono in grado di promuovere una spiccata
attività metabolica, la quale si concretizza maggiormente con la mobilitazione delle riserve di grasso ed il
susseguente utilizzo dello stesso come fonte energetica cellulare.
Quindi
l’inibizione a monte dell’attività dell’adenosina consente di favorire una diminuzione del grasso corporeo.
A
potenziare l’effetto dimagrante si aggiunge la classica proprietà della
caffeina di inibire il senso della fame.
La
diuresi viene stimolata grazie all’induzione del rilassamento della muscolatura liscia dei vasi sanguigni,
permettendo un migliore afflusso di sangue a livello renale ed una funzionalità maggiore dei sistemi di
filtrazione.
Questa capacità è particolarmente utile nel trattamento della ritenzione idrica e degli inestetismi relativi.
Non è da sottovalutare,
in aggiunta, l’effetto ipotensivo
che deriva dalla maggiore efficienza di eliminazione di liquidi, il che
consente uno stress minore sia al cuore nell’attività di pompaggio che ai vasi
ematici in termini di sollecitazione delle proprie pareti interne a contatto
col sangue.
L’azione
sul comparto cardiovascolare, inoltre, prevede l’inibizione dell’aggregazione piastrinica, diminuendo, così, la
formazione di coaguli di sangue intravascolari e contribuendo ad una attiva prevenzione nei confronti delle
affezioni di cuore e vasi.
Tuttavia
il guaranà presenta degli effetti collaterali che sono legati ad un eventuale uso eccessivo; tra essi vanno
ricordati nausea, diarrea, disturbi del sonno, nervosismo, agitazione,
irritabilità, tremori, mal di testa e dolori di stomaco.
Le controindicazioni
per l’uso di questa pianta sono l’ipertiroidismo, le malattie cardiovascolari e
renali conclamate, l’ipertensione severa, l’ansietà e l’insonnia, tutte
problematiche derivanti da uno stato di eccitazione di base dell’organismo più
che accentuato al quale chiaramente non va aggiunta ulteriore stimolazione.
Ovviamente l’assunzione concomitante di farmaci deve essere attentamente monitorata per non
sovrapporre alla caffeina effetti ad essa similari.
È questo il caso di farmaci
che inibiscono la fosfodiesterasi
(teofillina), che hanno caratteristiche di natura stimolante e che agiscono
mimando o potenziando l’azione di noradrenalina ed adrenalina.
Quindi va posta
molta attenzione alle modalità di utilizzo, in conformità col proprio quadro
fisiopatologico.
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